IL FATTORE UMANO – UNA RIFLESSIONE DI GIACOMO

Quando iniziai il mio lavoro come formatore non ero ancora laureato e venni affidato a un certo signor Giorgio, ex industriale, ex Confindustria, ex professore universitario, marito quasi esemplare e padre amatissimo. Doveva semplicemente passarmi le consegne, come si dice e poi godersi la sua meritata pensione. Secondo i programmi dell’ufficio del personale dovevano bastare un paio di mesi. Ma la vita non ha un ufficio del personale che decide e trascorremmo insieme due anni, fino alla mia laurea. Alla fine, proprio gli ultimi due mesi, mi passò le consegne ma riuscì nei due anni precedenti a trasmettermi esperienza, informazioni, emozioni, sensibilità. Mi insegnò che non esistono maestri (cosa di cui sono assolutamente convinto) e che chi ha bisogno di un maestro non sa fare affidamento sulla dotazione naturale fornita dalla Natura. Aveva anche una “pessima” opinione dei formatori: naturalmente portato per il sarcasmo e l’ironia, diceva che chi decide di fare formazione è perché non è capace di fare il mestiere che pretende di insegnare. “Quando mai” – diceva – “uno che guadagna 200, 300, 500 e più milioni di Lire all’anno decide di andare a insegnare, a svelare i trucchi del mestiere, per 50 o 60 milioni solamente? Vuol dire che o non sa più come guadagnarli o non ne è mai stato capace!”. Mi regalò un libro: la storia dei tre principi di Serendippo. Serendippo è il vecchio nome dell’isola di Ceylon, oggi Sri Lanka. La storia originale si perde nei secoli, ma nelle sua edizioni di Michele Tramezzino del 1557 e di Horace Walpole del 1754 conserva il sapore e il senso dell’originale Persiano. Brevemente, la storia racconta di tre sagaci principi che partono per salvare il loro regno e incontrano situazioni e persone diverse e riescono, di avventura in avventura, a superare le difficoltà e a riuscire nella missione, grazie a due importanti qualità. La prima qualità è la loro apertura mentale, che gli consente di osservare fatti e persone secondo quello che oggi viene definito pensiero laterale e quindi a cogliere nelle differenze le opportunità e nelle apparenti difficoltà le soluzioni. La seconda qualità è il rapporto che essi instaurano con il mondo: non accade niente per caso, essi lo sanno, e ciò che riescono ad ottenere o le persone che essi conoscono in una avventura, sono gli strumenti che gli permettono di superare quella successiva. Questo è un messaggio antico, ed ho avuto la fortuna di imparare il mestiere di formatore da una persona che incarnava perfettamente queste qualità. Faceva seriamente il proprio mestiere senza prendersi sul serio. Era la fine degli anni ’90 e la tecnologia che arrivava prometteva rivoluzioni concettuali nel campo della formazione: computer, slides, teleconferenze, FAD: non vidi mai il signor Giorgio in difficoltà di fronte al nuovo che avanzava. Anzi. Tutto poteva diventare un’opportunità per fare meglio non degli altri, ma per gli altri e per sé stesso. Affrontava la tecnologia con la curiosità di chi vuole comprenderne limiti e potenzialità. Questa comprensione gli consentiva di fare quell’altra cosa che riusciva bene ai principi di Serendippo: la tecnologia, l’informatica, l’innovazione erano manifestazioni dell’intelligenza umana e come tali, non giungevano per caso. Andavano quindi rispettate e valorizzate, perché dietro un semplice proiettore nuovo modello c’era un talento ed una progettazione. La capacità dell’utente finale era il saper utilizzare al meglio quel prodotto della mente umana che veniva consegnato nelle sue mani. Ciò che di meglio si riesce ad ottenere da uno strumento di informazione, amplifica il messaggio di cui esso è vettore e consente ai destinatari di assorbire non solo un messaggio in chiaro, ma favorisce anche gli sviluppi successivi dello strumento. Giorgio non era un amante della formazione a distanza – e non lo sono neanche io – quando rischiava di trasformarsi in informazione o deformazione. Prima di tutto dava grande importanza al fatto che le persone sono energia e un gruppo di persone creano un vasto campo di energia (appassionato di Bohm, Krishnamurti e Sheldrake, credeva nelle potenzialità delle energie sottili). Quando questa è canalizzata in un ambito formativo, si trasmettono nozioni che vanno ben oltre le parole e si incarnano nelle cellule delle persone. I corsi on-line, quando si trasformano in un semplice raccoglitore di nozioni sparate alla velocità della luce su uno schermo, non contengono questa energia. L’informazione stessa si banalizza, perde sapore ed efficacia. La formazione a distanza di troppe aziende oggi assomiglia al junk food, al cibo spazzatura e fa ricchi solamente i produttori, a discapito della ricchezza intellettuale dei fruitori. Per questo motivo quando Giorgio affrontava corsi in videoconferenza era come se aumentasse la propria presenza non tanto per sfondare il video, quanto per sfruttare al meglio lo strumento e, sapendo che poteva raggiungere persone diverse in ambienti diversi, riteneva che la sua chiarezza dovesse essere superiore rispetto alla presenza in aula. Quando preparava slides non le infarciva di chili e chili di informazioni, ma le usava per costruire mappe mentali. Diceva, anzi, che le slides servivano ai formatori che non conoscevano la materia… La formazione moderna fa i conti con stimoli e quantità di informazioni inimmaginabili venti anni fa, all’inizio della mia carriera. Ciò che ha consentito la stessa evoluzione degli strumenti della formazione è il legame imprescindibile con l’ambiente e l’uomo che popola quell’ambiente. C’è sempre una correlazione tra ciò che viene prima e ciò che viene dopo: causa ed effetto. E non sono mai casuali. Se decidiamo di adempiere in maniera completa al ruolo del formatore, di colui che contribuisce nel “dare forma”, non possiamo essere alieni da ciò che accade. Mente aperta, curiosa e disponibile. Attitudine positiva ad utilizzare quello che di nuovo propone la scienza umana, consapevoli di essere parte di quel flusso armonico di passato e futuro, di causa ed effetto. Consapevoli del tempo in cui viviamo, non possiamo respingere a priori l’innovazione come non dobbiamo servircene ciecamente, ingozzando noi stessi e ingolfando gli altri di formazione spazzatura. Nel periodo tardo illuministico, da cui stiamo fortunatamente uscendo a suon di crisi, era la dea mente al centro di tutto. Sta riprendendo la sua giusta collocazione l’uomo nella sua stupenda complessità e creatività. Questa creatività, dagli albori della preistoria, ha sempre visto l’uomo e gli strumenti da lui elaborati come un sistema unico. Ogni generazione è sempre stata debitrice della precedente e degli strumenti da essa creati. Ogni generazione si rinnova grazie alla sua capacità di innovare gli strumenti a cui si accompagna.

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