Il meraviglioso viaggio del Sè: i cancelli dell’Himalaya
La giornata in ashram comincia molto presto. Prima del risveglio ufficiale, le scimmie si rincorrono sui tetti di plastica del dormitorio e nel cortile e, lungo il Gange, si snodano processioni di persone armate di tamburi, campanelli e quant’altro possa al mattino presto risvegliare la spiritualità di chi dorme beatamente. Si intonano canti, cominciano ad accendersi i fuochi nei templi e a levarsi ovunque colonne di fumo. Lungo le strade cominciano a essere distribuiti i primi pasti caldi per i senzatetto o gli swami che hanno trascorso la notte sotto le stelle, avvolti nelle loro coperte. Le mucche vengono liberate e cominciano a pascolare per i vicoli assaporando vecchi giornali e frutta caduta dai carretti. Volenti o nolenti ci si alza dal letto accompagnati dalla rumorosa toilette mattutina dei vicini indiani. Nella stagione invernale ci vuole una buona dose aggiuntiva di coraggio anche per sopportare il freddo delle stanze. Però, mentre a casa, con un automatismo quasi meccanico, ci svegliamo dai nostri sogni e affrontiamo la realtà del quotidiano, qui è il risveglio a precipitarci nel sogno indiano. Nell’aria aleggia il profumo degli incensi e ci si avvia all’ora mattutina della preghiera. Sfilano figure avvolte in vestiti di fogge diverse che, come rivoli di montagna, si riuniscono nel grande lago della sala del satsang. È qui che nel cuore, nella mente e nell’anima di ciascuno comincia un nuovo giorno. Le voci si alzano a intonare i mantra, i canti e i bhajan, accompagnati dagli strumenti. L’aria si riempie di vibrazioni e non è raro accorgersi di stare piangendo per un’insormontabile gioia. Lo Yoga in India non è lo Yoga a cui siamo abituati in occidente. Men che meno quello che si pensa sia Yoga in occidente. Lo Yoga qui si respira, si beve, si mangia con il pasto, si fa lavorando e lo si canta pregando. Yoga è studio, impegno, fatica, dedizione, nostalgia di casa e sacrificio. Più lo si fa, e più pulisce a fondo corpo, mente e spirito. Alla fine la pratica fisica si riduce veramente a poco meno di tre ore giornaliere. Nelle ventiquattro ore si cerca di mettere in pratica tutti gli “otto passi” descritti da Pātañjali e a nessuno viene risparmiato un lavoro che richieda pazienza o relazioni che richiedano comprensione; ci sono momenti difficili in cui si addestrano la compassione, la sopportazione, e si misurano i propri limiti, tutti. Di continuo. Questo è Yoga. Un distillato di scienza antichissima, e sapienza originaria, assorbito sotto le grandi vette Himalayane in luoghi come Rishikesh, Uttarkashi, Netala, Gangotri e Badrinath, visitati da sempre da uomini, sapienti e dei. Quello che abbiamo imparato dai nostri maestri è, in parte, ciò che state leggendo. Con le poche righe di un libro cercheremo di varcare con voi i cancelli dell’Himalaya. Libro: Il meraviglioso viaggio del Sè. Edito da EBS Print.